Trasmettere il lupo

TRASMETTERE IL LUPO

La responsabilità delle immagini nella comunicazione per la coesistenza

Di Anna Sustersic1

1 Giornalista ed esperta di comunicazione sui temi della conservazione

È mattina presto, le ombre azzurre suggeriscono che il sole si sia alzato da poco per superare le cime e accarezzare il manto nevoso che, a giudicare da quello rimasto appiccicato ai rami, dev’essere sceso da poco. La giornata è limpida, la visibilità ottima e l’aria cristallina permette di vedere lontano. Deve pensarla così anche il lupo, di vedetta dall’alto studia la foresta spoglia per individuare i primi movimenti del bosco, impacciati dalla neve che facilita la sua caccia invernale. Sveglio e attivo sulla cresta innevata si distingue dagli animali che alle fatiche dell’inverno prediligono un lungo sonno. Sarà forse una vedetta, un ricognitore in avanscoperta per la caccia; forse in inverno il branco si divide per coprire meglio il territorio e intercettare ogni movimento che sappia di cibo. Non è facile la vita quassù in questi mesi dove il sole arriva tardi e scappa presto, la neve re-insegna a camminare a molti di loro che si muovono lenti, fra gli alberi vuoti, che ne tradiscono la presenza anche da lontano. Per il lupo è un buon momento.

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Un lupo si affaccia su un balcone naturale costituito da una balza rocciosa. Sullo sfondo il versante nord dei territori del Parco. (Video di Ivan Mazzon)

Questo è il mio viaggio nell’universo nevoso dei lupi che, in una mattina di fine agosto, chiusa in casa per sfuggire ai 30 gradi esterni, mi ha permesso di fare: ho visto, sentito, immaginato, ho intuito, dedotto e imparato. Ma più di tutto ho percepito il ‘senso’ dell’inverno fra le montagne e il peso che ha per chi lo vive (post 68).

È il potere della suggestione, la magia della fotografia: immagini che parlano con un linguaggio efficace e diretto che racconta in assenza di parole, che insegna senza dover studiare. Il massimo effetto comunicativo nel più breve tempo possibile. Un super-potere che, se si parla di lupi o più in generale di conservazione della natura, ha un potenziale e una responsabilità enormi.

Le foto ambientate hanno spesso la capacità di proiettarci nelle atmosfere del mondo selvaggio. (Foto di Bruno Boz)

Spesso deleghiamo nella nostra mente conservazione e ricerca agli istituti che nominalmente ne sono responsabili, quasi non fosse un nostro affare ma un qualcosa che viene fatto da altri per ragioni che bene o male non capiamo del tutto, passivamente osserviamo gli esiti indignandoci quando sparisce l’ennesima specie, gioendo per il successo di una foresta salvata o, come spesso accade nel caso del lupo, criticando i motivi della tutela.

Ma di fatto siamo spesso spettatori di vicende che per collocazione geografica o sociale, per mancanza di tempo, di interesse specifico o di conoscenza, sentiamo distanti, poco attinenti al nostro quotidiano, battaglie di altri. I temi della conservazione, di cui la coesistenza uomo/lupo è un aspetto, sono come pochi altri oggi – o meglio dovrebbero essere – questione di tutti, questione sociale; questioni il cui esito dipende dalle nostre attitudini, dal nostro interesse e dalla nostra volontà di partecipare: di qualsiasi aspetto della natura si parli, che sia lupo o foresta, o temi di dimensioni minori come quella di un’ape, è materia sociale in quanto relazionata al nostro bene di maggior valore, l’unico di cui non possiamo fare a meno: la qualità della nostra vita.

Non, quindi, appannaggio e responsabilità esclusiva delle istituzioni che quando si tratta di tutela si muovono innanzi tutto rispondendo a questioni di norma – nel caso del lupo Convenzione di Berna e Direttiva Habitat, in ambito europeo, e in Italia la legge sulla caccia (157 del 92 in Italia) – ma ‘affar nostro’: il nostro primo dovere e il primo diritto.

Una responsabilità quella di noi cittadini, da cui dipendono nientedimeno che qualità della vita, benessere e libertà. La natura e la sua tutela sono, quindi, un affare complesso e non facile da maneggiare vista la varietà di punti di vista, interessi, conoscenza, empatia, antipatia e paura che ci legano al bene da proteggere, lupo compreso.

Un evento di comunicazione sul lupo nelle scuole organizzato dal Parco. (Foto di Bruno Boz)

È qui che entra in gioco la comunicazione: la sua grande responsabilità è quella di fornirci gli strumenti per operare scelte ponderate e di favorire la creazione di quel legame emotivo che innesca il desiderio di proteggerla, e questi strumenti sono: una buona base di conoscenza, la comprensione del contesto, e una personale relazione con il soggetto della tutela.

Come riuscirci? La chiave sta nell’esperienza. L’esperienza diretta con la natura e con i suoi elementi, animali in primis, ha dimostrato da tempo di avere effetti positivi tanto sulla qualità della vita delle persone, quanto sul loro livello di coinvolgimento in questioni di tutela e di conoscenza. L’esperienza avvicina, permette di capire in modo istintivo e immediato, di percepire anziché studiare, ma quel che è più importante, di creare quel legame profondo con l’ambiente circostante che aiuta ad assegnare un valore, un senso intimo e personale alla natura, tanto da sentirla in qualche modo ‘propria’ e come tale, da proteggere.

L’esperienza in natura, l’incontro con un animale, è una via preferenziale tanto verso sé stessi quanto verso la comprensione e rafforzamento dei propri valori e delle proprie convinzioni, che ha come conseguenza, tra le altre, l’autodeterminazione. Il tramite attraverso il quale questa specie di magia opera e si manifesta è il nostro principale canale di apprendimento: le emozioni.

L’educazione ambientale prevede spesso “l’esperienza diretta in natura”, come strumento di conoscenza ma anche come elemento per favorire la tutela. (Foto di Bruno Boz)

C’è una fondamentale relazione tra emozioni e atteggiamenti umani e questo, in termini di conservazione della natura, ha conseguenze decisive. Ma l’esperienza è oramai appannaggio di pochi, e fra questi pochi a loro volta hanno occasione di fare esperienza di aspetti della natura così intimi, elusivi ed emozionanti, come è il lupo.

Siamo affamati di natura senza saperlo e veniamo lasciati digiuni da uno stile di vita e una cultura che di fatto l’hanno resa un paradiso segreto. Ma non appena una parola attiva un’emozione, la nostra fame si risveglia e lo sa bene la stampa che, consapevole del trucco, usa troppo spesso le parole per guidarci in percorsi emotivi sgradevoli da associare a temi precisi di cui il lupo è solo un esempio. Pastori di emozioni, i comunicatori sanno esattamente dove vogliono farci arrivare.

Una spedizione fotografica sulle tracce dei lupi. (Foto di Bruno Boz)

Ma una foto non mente, è la porta attraverso la quale inizia il viaggio, la serratura attraverso la quale spiare discretamente una natura segreta, è un libro che insegna senza parole, è un generatore di emozioni, toglie il fiato e crea desiderio, è un’esperienza che trasmette e trasforma spesso molto più rapidamente e a fondo di quanto non siano capaci di fare le parole. Un messaggio che si imprime e che, a volte, ha il potere di condizionare le nostre scelte.

Questo è il potere della comunicazione, ma le immagini ne hanno uno speciale: pur seduti in una stanza, le immagini riescono a portarci in mondi lontani, a procurarci l’emozione di un incontro selvatico raro, di spiare il bosco di notte, di capirne le regole, di empatizzare con l’altro e di uscirne cambiati, uscirne pensando ‘è talmente bello da non poterne fare a meno’. E questo è l’inizio della tutela.

Le immagini ci permettono di “spiare il bosco di notte”. (Foto di Ivan Mazzon e Roberto Sacchet)