Zootecnia nel parco e sistemi di prevenzione

ZOOTECNIA NEL PARCO E SISTEMI DI PREVENZIONE

Il tortuoso sentiero della convivenza

Di Stefano Mariech1, Bruno Boz e Ivan Mazzon

1 Responsabile area tecnica del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi

“Non vi è alcun dubbio che una malga senza vacche e manze che pascolano appaia più povera e triste; ricordo un’escursione ad Erèra in un’estate nella quale non erano saliti i bovini, e quel magnifico scenario difettava di qualcosa ai miei occhi. È una questione sonora, visiva, forse pure paesaggistica, localmente olfattiva, ma che va a toccare anche altre corde del nostro sentire, che competono alla sfera culturale, antropologica e affettiva, quanto meno nella gente di montagna”.

Con queste parole, l’amico Michele Cassol, nel suo contributo (post 20) inquadrava perfettamente alcune delle ragioni antropiche e paesaggistiche per cui la presenza dell’attività zootecnica all’interno del Parco Nazionale sia un valore irrinunciabile. Per non parlare del fatto che una fetta non trascurabile della biodiversità del Parco è strettamente interconnessa al mantenimento di spazi aperti soggetti a pascolamento.

D’altro canto, pur esistendo un potenziale conflitto fra questa attività e la presenza del lupo, non è minimamente pensabile che non si possa accogliere con favore il recente ritorno (L’inizio di un ritorno) spontaneo di un animale di così alto valore conservazionistico ed ecologico all’interno di un’Area Protetta di importanza nazionale e in gran parte disabitata. Se non qui, dove?

Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi è per gran parte del proprio territorio caratterizzato da aree ad elevata naturalità e di alto valore conservazionistico. La presenza umana si limita all’escursionismo, praticato prevalentemente nei mesi estivi. (Foto di Bruno Boz)

Se la scelta della convivenza è dunque tracciata e obbligata, restano sul tavolo tutti i problemi pratici e culturali che questa comporta. Innanzitutto, le attività zootecniche che sopravvivono all’interno del Parco presentano già un carico di difficoltà logistiche molto alto, a cui si vanno ora a sommare la preoccupazione e le difficoltà operative legate alla presenza del predatore.

Il lupo può diventare così la goccia che fa traboccare il vaso o il capro espiatorio (a seconda dei punti di vista) laddove ancora una volta gli allevatori, lasciati in balia del caso, non venissero messi nelle condizioni di affrontare la situazione. In secondo luogo, i lupi non leggono i cartelli del Parco e se pure permangano per molti mesi all’interno del suo territorio, muovendosi in zone selvagge e poco frequentate, si spostano sovente anche nelle zone di pre-parco e, soprattutto d’inverno, nelle aree di fondovalle esterne ai confini dell’Area Protetta.

La tradizionale pratica della “montegada”, durante la quale, ai primi di Giugno, vacche e mandriani raggiungono tra mille fatiche i pascoli di alta quota attraversando torrenti (nella foto il T. Caorame), inerpicandosi per ripide mulattiere e superando dislivelli di anche 1000 metri. Il percorso verrà ripetuto in discesa nel mese di settembre. (Foto di Bruno Boz)

Qui le attività zootecniche sono ancora diffuse, sia a livello hobbistico, sia in termini di allevamenti produttivi. Tutto questo innesca problematiche gestionali, nonché la sovrapposizione di competenze e sensibilità diverse e costringe ad affrontare delle sfide che la conservazione di altre specie presenti nell’area protetta non aveva finora posto.

In questo scenario, la parola “sfida” ben descrive la situazione: non ci si trova infatti di fronte ad un problema squisitamente tecnico del tutto inquadrabile e gestibile con risposte di facile applicazione e dal successo garantito, ma ad un fenomeno più articolato, variabile a seconda delle diverse situazioni, intriso di una forte componente emozionale e intrinsecamente caratterizzato da alcuni margini di imprevedibilità. Nulla quindi che possa essere approcciato senza un patto di collaborazione fra allevatori e istituzioni.

Durante la transumanza un gregge di passaggio sosta nelle zone adiacenti ai limiti settentrionali del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, fuori dai suoi confini. (Foto di Bruno Boz)

Certamente oggi i mezzi e le buone pratiche di prevenzione agli attacchi al bestiame domestico, i meccanismi risarcitori, il monitoraggio e le professionalità di supporto tecnico agli operatori esistono e sono in buona parte codificate/implementate, ma vanno applicate in maniera critica e diversificata in base al contesto, sia che si tratti di allevamenti professionali sia hobbistici.

Resta però il fatto che il punto di partenza per la prevenzione è la volontà da parte dell’allevatore di adattare i propri metodi esistenti ai sistemi di prevenzione con consapevolezza e convinzione mettendo in conto un certo dispendio di energie e risorse ed accettando, ahinoi, la possibilità di subire perdite anche nel caso di adozione delle pratiche corrette.

Adil e Tommaso impegnati nella fase di mungitura in un alpeggio del Parco. Gli allevatori svolgono con passione il loro lavoro e si impegnano quotidianamente nell’ applicare una serie di buone pratiche per tutelare il bestiame dagli attacchi dei lupi. (Foto di Ivan Mazzon)

Cercando di razionalizzare il problema, è provato che la probabilità di attacchi risulta maggiore in corrispondenza del verificarsi delle seguenti condizioni:

scarsa visibilità in caso di pioggia e nebbia (e ovviamente oscurità);

• periodi di siccità, in cui il bestiame si riunisce in spazi ristretti e gli eventuali cani da protezione cercano fonti di acqua o refrigerio in zone di ombra;

• il periodo delle nascite dei cuccioli di lupo e i loro primi mesi di vita (maggio-novembre), periodo che coincide, spesso, con la maggiore permanenza al pascolo del bestiame;

• presenza nei pascoli di femmine di animali domestici prossime al parto, che sono più vulnerabili alla predazione perché non possono seguire gli altri animali (ovini) o si isolano (caprini e bovini, suini e equini);

• presenza di attrattivi alimentari nelle aree di pascolo: carcasse di precedenti predazioni, carcasse di selvatici, o placente derivanti dai parti, che possono attrarre i predatori;

• presenza di aree aperte alternate ad aree boschive, facile nascondiglio e punto di partenza per l’attacco.

Un lupo si aggira in un’area caratterizzata da mughete e radure in piena estate, non lontano dalle zone soggette ad alpeggio estivo all’interno del Parco. (Foto di Roberto Sacchet)

A fronte di queste casistiche, e di altre situazioni più contingenti, si può cercare di mitigare il danno utilizzando sistemi di prevenzioni installati in collaborazione con esperti, porre particolare attenzione al pascolo brado e semi brado, proteggere gli animali al pascolo nelle ore notturne, non lasciare individui isolati, proteggere gli animali durante i parti, rimuovere le carcasse dal pascolo, favorire la rotazione dei pascoli per non creare assuefazione e segnalare tempestivamente alle autorità competenti gli eventi predatori.

Lungo il sentiero di questo progetto abbiamo documentato le precauzioni adottate dai gestori dei pascoli (prevalentemente a bovini ed equini, con una quarantina di vacche da latte, 15 manze e 15 cavalli) dei Piani Eterni che da 4 anni, nei mesi estivi (giugno-settembre), convivono a stretto contatto con la famiglia di lupi protagonista di questo progetto di documentazione: lasciare a valle i vitelli e le manze più giovani, proteggere gli animali durante la notte con un recinto fisso costruito ad hoc per i bovini e mantenere sempre un certo livello di sorveglianza (l’azienda si avvale di un malgaro dedicato). Un simile approccio di attenzione e professionalità, se pure attuato con azioni ancora diverse è stato effettuato anche in altre importanti attività zootecniche presenti nel Parco durante l’estate, tra cui in particolare il pascolo delle “Vette Grandi” e gli allevamenti ovini sul Monte Serva (che utilizza anche cani da guardiania).

Testimonianze, punti di vista, perplessità e azioni concrete di alcuni allevatori che operano all’interno del Parco, nel cuore del territorio di questa famiglia di lupi. (Estratto dal film “Erèra” di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Luca Ventimiglia)

Se questa è la teoria, la pratica è spesso molto più articolata e complessa e molte precauzioni non risultano sempre di facile applicazione, soprattutto in aree geografiche particolari come le nostre, dove il pascolo brado e semibrado è caratteristico della tradizione e dei disciplinari di produzione di alcuni prodotti di eccellenza, e il pascolo si svolge in altipiani aridi di alta quota, caratterizzati da scarso ombreggiamento (es. Piani Eterni, Busa delle Vette, Serva) e dove quindi il pascolo notturno è molto rilevante per la dieta del bestiame.

Nei pascoli dei Piani Eterni, privi di ombreggiamento, vacche e cavalli si alimentano principalmente di notte o nelle ore non assolate. Questa abitudine non è oggi più possibile perché nelle ore notturne il bestiame viene radunato all’interno di un recinto fisso. (Foto di Bruno Boz)

Dal 2016 al 2021, i dati ufficiali registrati dai Carabinieri del Parco che si occupano delle pratiche per il rimborso dei danni da predazione, hanno registrato all’interno dei confini del Parco 8 predazioni da lupo accertate su domestici. In tutti i casi si tratta di ovini e le predazioni sono state registrate sempre nei mesi estivi (giugno-settembre). Nello stesso periodo sono stati registrati, come predazione accertata o consumo su selvatico, 51 eventi, di cui 21 su cervo, 19 su muflone e 3 su camoscio. Per quanto riguarda i dati su selvatico, trattandosi di ritrovamenti di tipo opportunistico, il dato è chiaramente sottostimato.

Se all’interno dell’area protetta le predazioni accertate su domestico rappresentano numeri molto bassi, non si può dire lo stesso delle zone di pre-parco ed esterne ai confini dove aumenta considerevolmente il numero di attività zootecninche sia in ambito professionale che hobbistico. Qui il lupo rappresenta una maggior preoccupazione e periodicamente si apprendono da varie fonti di attacchi del lupo al bestiame domestico. Nelle aree esterne al Parco il più delle volte è chiamata ad intervenire la Polizia Provinciale che una volta accertata la predazione da parte del lupo fa capo alla Regione del Veneto per l’indennizzo dei capi predati.

I recinti (post 25) sono il sistema di prevenzione più diffuso un po’ in tutta Europa. Ne esistono diverse tipologie (recinti fissi/mobili, elettrificati e non, o combinazioni intermedie, mobile elettrificata e miste) da utilizzare a seconda del contesto e generalmente avvalendosi della consulenza di esperti.

Ottimo esempio di soluzione “fai da te” per il ricovero notturno degli animali; realizzato da un allevatore amatoriale con rete elettrosaldata interrata su tutti e quattro i lati e con l’aggiunta di un massetto in cemento sotto la porta. Una soluzione in questo caso efficace per proteggere i pochi esemplari di capre durante la notte. (Foto di Ivan Mazzon)

In aumento anche sulle Alpi e nel Parco (ad esempio nel monte Serva), se pure con alcune reticenze, anche l’utilizzo dei cani da guardiania (post 45) ed in particolare di cani da pastore maremmano-abruzzesi.

Guardando avanti, da segnalare il possibile ricorso a tutta una serie di sistemi innovativi (dissuasori acustici, recinti virtuali, azioni di deterrenza, etc.) collegati alla telemetria satellitare che sono stati applicati a livello sperimentale in aree limitrofe, con particolare riferimento ai progetti di “gestione pro-attiva” attuati da Regione del Veneto e Università degli Studi di Sassari nel massiccio del Monte Grappa ed in altre zone del Veneto (post 42).

Da qualche anno l’Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi ha attivato una serie di iniziative per garantire la convivenza fra il lupo e le attività di gestione degli allevamenti. Fin dalle prime segnalazioni del ritorno del lupo nel territorio del Parco l’Ente ha instaurato con gli allevatori professionisti, che stagionalmente monticano gli alpeggi in quota, un rapporto di collaborazione che ha portato alla mappatura di tutte le superfici interessate dalla presenza di capi domestici, alla valutazione del numero e delle tipologie di animali, alla verifica delle attuali tecniche di alpeggio e alla conseguente definizione delle più opportune modalità di intervento preventivo al fine di scongiurare potenziali attacchi da parte del lupo.

Carabinieri Forestali del Reparto CC Parco impegnati nelle attività di controllo in un alpeggio nel Monte Serva. Nel 2021 in questa malga era presente un carico di 900 ovini e 8 equini. (Foto di Enrico Canal)

All’interno del Parco sono presenti 7 aree di pascolo in cui è possibile l’allevamento brado, con 4 malghe dotate di strutture per la lavorazione del latte. Nel 2021 nei pascoli all’interno dell’area protetta sono stati “caricati”: 189 bovini, 1554 ovini e 18 equini. Per ognuno degli ambiti di pascolo sono quindi state predisposte delle schede specifiche all’interno delle quali, oltre ai dati conoscitivi, sono state definite le modalità di prevenzione.

Grazie quindi a due specifici finanziamenti, il primo da parte del Ministero della Transizione ecologica ed il secondo da parte dell’Unione Europea, l’Ente ha acquistato e concesso in comodato gratuito agli allevatori i sistemi di recinzione elettrificata che attualmente sono da ritenersi il miglior metodo di dissuasione dall’attacco da parte del lupo.

I fondi europei ottenuti dall’Ente Parco con il progetto LIFE WOLFALPS EU hanno permesso di rivolgere l’attenzione anche verso i possessori di pochi capi di animali domestici detenuti a scopo amatoriale. Questo tipo di allevamento viene condotto spesso in prossimità delle abitazioni e spesso vi è un alto livello di affezione dei proprietari nei confronti dei capi posseduti; è molto diffuso nella pedemontana feltrina e bellunese e rappresenta un segmento di portatori di interesse molto sensibile nei confronti della presenza del lupo e soprattutto nei confronti di possibili attacchi da parte dello stesso.

L’Ente Parco ha quindi pubblicato uno specifico avviso di manifestazione di interesse rivolto a questa fascia di operatori per la concessione in comodato gratuito di un kit per la realizzazione di un recinto elettrificato della lunghezza di 250 metri. Il Kit comprende l’elettrificatore, la batteria di accumulo e un pannello fotovoltaico (post 59).

Un “kit” (recinto di 250 m, elettrificatore, batteria di accumulo e un pannello fotovoltaico) fornito dal Parco nell’ambito del progetto LIFE WOLFALPS EU ad un allevatore che alleva alcune capre a livello amatoriale e che ne ha fatto richiesta. (Foto di Ivan Mazzon)

Alla manifestazione di interesse hanno risposto 35 soggetti dei quali 29 con i requisiti previsti dall’avviso. L’Ente Parco ha quindi provveduto all’acquisto del materiale ed alla consegna dello stesso ai soggetti che ne hanno fatto richiesta. L’iniziativa continuerà con l’azione della squadra prevista dal Progetto LIFE e denominata WPIU che seguirà i soggetti beneficiari nelle fasi di installazione e utilizzo del materiale fornito, con interventi diretti sul posto, con assistenza da remoto e con la realizzazione di incontri in presenza.