IL RUOLO DEL LUPO
L'importanza di una specie ombrello
Di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Enrico Vettorazzo1
1 Responsabile dei settori di comunicazione, divulgazione, educazione ambientale, ricerca scientifica e faunistica del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Dimenticando per un attimo le complesse relazioni tra uomo e lupo, in questa storia ci concentreremo esclusivamente sul ruolo fondamentale che questo predatore svolge nella regolazione dei processi che controllano il funzionamento degli ambienti naturali. Il lupo, come tutti i grandi predatori che si trovano all’apice delle catene alimentari, rappresenta un elemento chiave perché la sua presenza garantisce il mantenimento della struttura e delle funzioni degli ecosistemi (Ripple et al., 2014). Comprendere il suo ruolo ci permette di apprezzare meglio la complessa trama che regola gli ecosistemi e l’importanza di preservare questa specie.
Il lupo svolge un ruolo cruciale nel controllo delle popolazioni di ungulati. (Foto di Roberto Sacchet)
Il lupo è una vera e propria specie ombrello, questo significa che la sua conservazione garantisce protezione a molte altre specie che vivono negli stessi ambienti (Roberge & Angelstan, 2004; Avanzinelli et al., 2023). Le esigenze ecologiche del lupo, che richiede vasti territori con un certo grado di naturalità e una buona disponibilità di prede selvatiche, lo rendono inoltre un indicatore prezioso dello stato di salute degli ecosistemi.
Il lupo determina sugli ecosistemi in cui vive degli effetti sia diretti che indiretti ed è quindi in grado di influenzare non solo le popolazioni di altre specie animali, ma anche le componenti vegetali.
L’effetto diretto più immediato ed evidente è quello sulle specie predate: il lupo, all’apice della catena alimentare, svolge un ruolo cruciale nel controllo delle popolazioni di ungulati erbivori come cervi, mufloni, camosci, cinghiali e caprioli citando le specie presenti all’interno del Parco. Predando gli animali più deboli, malati o anziani (anche se non in modo esclusivo), i lupi contribuiscono a mantenere le popolazioni di erbivori in salute e a prevenire fenomeni di sovrappopolamento.
Uno studio condotto sulle Alpi occidentali (Gazzola et al., 2007), ha messo in luce che la predazione del lupo incideva per il 19–51% della mortalità annua del cervo, per il 6-28% sul capriolo e per il 6-9% sul camoscio (studi simili sono in corso nell’area del Parco, grazie ad un progetto di telemetria satellitare (La radiotelemetria)).
In assenza di predatori naturali come il lupo, le popolazioni di ungulati possono accrescersi in modo eccessivo, causando danni significativi agli ecosistemi (fenomeno peraltro ben osservato nella Alpi in questi decenni). Anche nel Parco si è osservato negli ultimi decenni, in assenza di predatori, un aumento significativo dei cervi, ad oggi la specie più abbondante nell’area protetta.
La predazione da parte dei lupi non ha solo un effetto diretto di contenimento del numero di erbivori dominanti, ma incide anche sul modo in cui questi si spostano e occupano il territorio. Non è un caso che con l’arrivo del lupo i cervi, ma anche i mufloni, oltre ad essere diminuiti siano anche diventati più mobili ed elusivi lasciando spazio per le altre specie, piante comprese, e questo ha aumentato la ricchezza e la complessità dell’ecosistema.
Questo effetto indiretto del lupo, che si propaga a discesa lungo la catena alimentare, va sotto il nome di “cascata trofica” ed è studiato da anni in molti ambienti naturali, sia terrestri che marini. Particolarmente famoso e studiato è il caso del Parco Nazionale di Yellowstone: qui la presenza del lupo ha modificato il comportamento degli erbivori, che si sono allontanati dagli ambienti aperti di fondovalle, permettendo così la ricostituzione naturale delle foreste ripariali, prima compromesse dall’eccessivo pascolamento esercitato dai cervi (Ripple & Beschta, 2021).
A Yellowstone la rigenerazione delle foreste, favorita dalla riduzione del pascolamento degli ungulati, ha permesso il ritorno del castoro e ha creato habitat idonei per numerose specie di uccelli; negli ambienti alpini il ritorno del lupo potrebbe avere un effetto positivo indiretto sulle specie di uccelli che nidificano a terra, come i Tetraonidi, riducendo il disturbo determinato dagli ungulati; sarà interessante verificare nei prossimi anni questa ipotesi all’interno del Parco.
Negli ultimi anni, le osservazioni di gallo cedrone sono aumentate significativamente in alcune aree del Parco. Sebbene non sia certo se questo fenomeno sia legato, almeno in parte, all’effetto indiretto del predatore, approfondirne le dinamiche sarebbe interessante. (Video di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Roberto Sacchet)
La pressione di predazione del lupo sulle diverse specie di ungulati selvatici varia in funzione di molti parametri (tra cui la densità e l’accessibilità delle prede, i loro diversi comportamenti di difesa, la conformazione del territorio), questo determina modifiche nella composizione delle popolazioni di erbivori e nella loro distribuzione.
Nel Parco, ad esempio, sono aumentate le osservazioni sul capriolo, anche a quote più elevate dove un tempo era consuetudine osservare esclusivamente i cervi. Il capriolo, nonostante rientri fra le specie predate dal lupo (post 79), sembra trarre beneficio dalla pressione maggiore che il lupo esercita sul cervo che, nel Parco, costituisce il 60% delle prede selvatiche, contro il 5% del capriolo (Apollonio et al., in stampa).
La presenza del lupo può influenzare le popolazioni di predatori detti mesocarnivori, come volpi e sciacalli (post 16). Il lupo è risaputo cacciare entrambe queste specie qualora ne abbia l’occasione, ma si è visto anche che volpi e sciacalli possono a loro volta trarre beneficio dalla presenza del lupo. Nel Parco la presenza della volpe sulle carcasse predate dal lupo e monitorate mediante foto-videotrappole è risultata quasi una costante, a testimoniare come i resti lasciati dai lupi siano una fonte trofica per la volpe e per altri animali opportunisti (post 62).
Le carcasse lasciate dai lupi sono una fonte di cibo per molti altri animali come la volpe e la martora. (Foto di Ivan Mazzon e Roberto Sacchet)
Seguendo i lupi, le volpi riescono a garantirsi spesso un pasto assicurato e possono così ridurre la pressione diretta su altre potenziali prede (animali da cortile inclusi). Tuttavia si tratta di equilibri trofici complessi e solo parzialmente studiati, variabili anche in base ai contesti. In alcuni casi ad esempio si è osservato come la sovrapposizione trofica fra lupi e volpi sia risultata piuttosto limitata (Bassi et al., 2011).
Effetti diretti e indiretti della competizione tra il lupo e altri carnivori sono stati dimostrati nel Parco di Yellowstone, dove la predazione dei coyote operata dal lupo ha avuto effetti indiretti sulle popolazioni delle prede dei coyote quali lepri, altri piccoli mammiferi e antilocapre (Ripple et al., 2014).
Il lupo condiziona anche le popolazioni di animali necrofagi. Le già citate volpi non sono infatti le uniche a sfruttare le risorse alimentari lasciate dai lupi: le numerose carcasse monitorate in questi anni nel Parco con le foto-videotrappole ci hanno svelato una numerosa comunità animale che ne trae beneficio. Martore, faine, piccoli roditori, passeriformi di piccola taglia come pettirossi e cince, ma anche spazzini per eccellenza come corvi imperiali, e infine rapaci come poiane, astori ed aquile.
Quest’ultima, anch’essa considerata una specie ombrello e al vertice della catena alimentare, ha spesso giovato delle predazioni del lupo per superare i periodi dell’anno più duri (post 52) nutrendosi anche di carcasse nascoste dalla neve. Infine anche I cinghiali, noti per la loro dieta onnivora, non si sono lasciati scappare l’opportunità di un pasto facile.
La carcassa di una cerva diventa un prezioso banchetto per diverse specie, come l’aquila reale, i corvi imperiali e pure i cinghiali. (Video di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Roberto Sacchet)
Queste osservazioni sulle Dolomiti Bellunesi concordano con quanto già rilevato in nord America nei Parchi nazionali di Banff e Yellowstone, dove i resti delle prede dei lupi hanno offerto cibo supplementare a orsi, ghiottoni, corvi imperiali, gazze americane, aquile testabianca e altre specie che si nutrono di carcasse (Sthaler et al., 2022; Hebblewhite et al. 2020). A differenza di quelle che possono essere rilasciate dai cacciatori (aggregate nel tempo e nello spazio), le carcasse delle prede dei lupi sono disperse nel tempo e nello spazio e favoriscono la sopravvivenza invernale degli animali necrofagi (Wilmers, 2003).
Il ruolo determinante di questo predatore nel regolare le catene trofiche e strutturare gli ecosistemi, risulta particolarmente marcato in ambienti con scarsa disponibilità di prede domestiche, mentre il comportamento predatorio del lupo (e di conseguenza il suo ruolo ecosistemico) può cambiare in presenza di fonti trofiche alternative; questo anche in ambienti ad elevata naturalità ma utilizzati intensamente come aree di pascolo (Ciucci et al., 2020).
Queste modificazioni della dieta possono avere anche un carattere stagionale, come visto in zone soggette al solo pascolo estivo (Capitani et al., 2004), ma sicuramente è un aspetto da considerare nella gestione di aree protette.
Tre giovani lupi si concedono un momento di riposo alle prime luci di un’alba gelida, in una tranquilla mattina di novembre. (Foto di Bruno Boz)
I lupi non sono solo predatori attivi ma sono anche ottimi opportunisti svolgendo, se gli capita l’occasione, il ruolo di “spazzini”, cibandosi all’occorrenza anche di carcasse di animali già morti (post 91).
Al di là dei positivi effetti diretti ed indiretti esercitati sul funzionamento degli ecosistemi naturali, ormai ampiamente dimostrati (Villeneuve, 2024), il lupo riveste un valore intrinseco come specie selvatica e componente fondamentale degli ecosistemi naturali. La sua presenza contribuisce all’integrità e al benessere dell’ambiente, ricordandoci l’importanza di preservare la biodiversità e di rispettare l’equilibrio naturale.
La tutela del lupo è fondamentale per garantire la salute degli ecosistemi e per il nostro stesso benessere. Imparare a coesistere con questi animali selvatici è una sfida impegnativa, che può essere vinta solo con il coinvolgimento, l’impegno e la collaborazione di tutte le parti interessate, utilizzando le conoscenze che ci vengono dalla ricerca scientifica (Martin et al., 2020).
Avanzinelli E., Perrone D, Sigaudo D., Rossi E. Grande D., Chioso C., Mine D. Gaggero G., Ferrari P., Carolfi S., Cerra M., Maleno E., Scillitani L., De Biaggi M. e Marucco F. (2023). Integrare la conservazione del lupo nella pianificazione e nello sviluppo del territorio. Handbook for LIFE WolfAlps EU project LIFE18 NAT/IT/000972, Ac on C6.2.
Bassi E., Donaggio E., Marcon A., Scandura M., Apollonio M. (2012). Trophic niche overlap and wild ungulate consumption by red fox and wolf in a mountain area in Italy. Mammalian Biology – Zeitschrift für Säugetierkunde. 77. 369–376. 10.1016/j.mambio.2011.12.002.
Capitani C., Bertelli I., Varuzza P., Scandura M., Apollonio M. (2004). A comparative analysis of wolf (Canis lupus) diet in three different Italian ecosystems. Mammalian Biology – Zeitschrift für Säugetierkunde. 1-10. 10.1078/1616-5047-112.
Ciucci P., Mancinelli S., Boitani L., Gallo O., Grottoli L. (2020). Anthropogenic food subsidies hinder the ecological role of wolves: Insights for conservation of apex predators in human-modified landscapes. Global Ecology and Conservation. Vol. 21 https://doi.org/10.1016/j.gecco.2019.e00841.
Gazzola A., Avanzinelli E., Bertelli I., Tolosano A, Bertotto P., Musso R., Apollonio M. (2007). The role of wolf in shaping a multi-species ungulate community in Italian western Alps. Italian Journal of Zoology. 74. 297-307. 10.1080/11250000701447074.
Hebblewhite M.,Smith D. W. (2010). Wolf community ecology: ecosystem effects of recovering wolves in Banff and Yellowstone National Praks. Pp. 69-120. In: Musiani M., Boitani L., Paquet P.C. eds. The world of wolves. New perspectives on ecology, behaviour and management University of Calgary Press, Alberta. Canada
Martin J. L., Chamaillé Jammes S., Waller D. M. (2020). Deer, wolves, and people: costs, benefits and challenges of living together. Biological Reviews. 95. 782-801 https://doi.org/10.1111/brv.12587
Roberge J.-M. e Angelstan P. E. R. (2004). Usefulness of the Umbrella Species Concept as a Conservation Tool. Conservation Biology, vol. 18, no. 1, pp. 76–85, Feb. 2004. doi:
Ripple, William & Beschta, Robert. (2011). Trophic cascades in Yellowstone: The first 15 years after wolf reintroduction. Biological Conservation. 145. 205–213
Ripple W. J., Estes J. A., Beschta R. L., Wilmers C. C., Ritchie E. G., Hebblewhite M., Berger J., Elmhagen B., Letnic M., Nelson M. P., Schmitz O. J., Smith D. W., Wallach A. D:, Wirsing A. J. (2014). Status and ecological effects of the World’s largest carnivores. Science vol 343. 1241484
Stahler D., Heinrich B., Smith D. (2005). Common avens, Corvus corax, preferentially associate with grey wolves, Canis lupus, as a foraging strategy in winter. Animal Behaviour 64: 283-290
Villeneuve K. A., Proulx G. (2024). Ecological advantages of grey wolfn (vanis lupus) reintroduction and recolonizations in North America. In: Wildlife Conservation & Management in the 21st – Issues, solutions and new concepts. Proulx G. editor. Pp. 181-195. Alpha Wildlife Publications
Wilmers C.C., Stahler D. R., Crabtree R. L., Smith D. W., Getz W. M. (2003). Resource dispersion and consumer dominance: scavenging at wolf- and hunter-killed carcasses in Greater Yellowstone USA. Ecology Letters 6: 966-1003