Uomini e lupi

UOMINI E LUPI

Due storie parallele e interconnesse

Di Bruno Boz, Ivan Mazzon e Enrico Vettorazzo1

1 Responsabile dei settori di comunicazione, divulgazione, educazione ambientale, ricerca scientifica e faunistica del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi

La storia degli uomini e quella dei lupi sono strettamente intrecciate da legami che risalgono a un tempo lontano di cui non si hanno testimonianze storiche, perse nella notte dei tempi. Un vissuto comune che ha, da un lato, segnato l’evoluzione biologica di entrambe le specie e, dall’altro, ispirato leggende, fiabe, paure e miti nelle diverse culture del mondo. Ne consegue che l’idea che abbiamo del lupo risulta essere più immaginaria che reale e tutto questo in qualche modo ostacola anche oggi la ricerca di soluzioni pacifiche di convivenza tra questo carnivoro e l’essere umano.

Il lupo, protagonista di fiabe e letture dell’infanzia, molto spesso nei panni del “cattivo”. (Foto di Bruno Boz)

Il processo di antropomorfizzazione del lupo parte da lontano e si trovano molte testimonianza nei testi religiosi e nelle mitologie di varie culture. Al lupo vengono associate figure dal carattere avaro, crudele, dannoso, astuto, insaziabile. Ad esempio nella lingua sanscrita1 il nome Vṛkodara significa “vorace mangiatore, dal ventre di lupo”.

Anche nella mitologia Norrena (popoli germanici del nord e dell’area scandinava) il lupo è molto radicato e presente sottoforma di tre figure malvage, il gigantesco Fenrir o Fenrisulfr, primogenito del gigante semidio Loki e della gigantessa Angrboda (colei che porta il dolore), e i suoi due figli Hati e Skoll (BIFRÖST, 2013). Oltre a questi tre lupi mostruosi però ve ne sono altri due, Geri e Freki, che sono considerati animali di “buon auspicio” e compagni fedeli al fianco del dio Odino2. Il lupo quindi ricopre allo stesso tempo due ruoli fortemente contrapposti.

Anche nella mitologia greca troviamo questa contrapposizione. Nel mito di Licaone, Re degli Arcadi, secondo la più celebre versione, Zeus lo trasformò in un feroce lupo punendolo per aver tramato contro di lui (Ovidio, Metamorfosi). Il nome stesso del protagonista della vicenda, Licaone, in greco Λυκάων [Lykaon], ha chiaramente un’affinità semantica con la creatura simbolo di questa metamorfosi, il licantropo, dal greco λúkος, lýkos «lupo» e ἄνθρωπος ánthropos «umano» quindi letteralmente: «lupo-umano». Ma il lupo per la mitologia greca è anche un animale sacro ad Apollo3.

In molte civiltà appare come genitore (fondatore) ed è associato al simbolo della fertilità. La leggenda a noi più vicina è notoriamente quella dei gemelli Romolo e Remo salvati e allevati dalla famosa lupa presso la grotta poi chiamata Lupercale.

1 Il mahābhārata (che menziona vṛkodara) è un poema epico indiano scritto in sanscrito e ha più di 2000 anni.

2 Il lupo: antropologia e comunicazione. Irene Borgia, 2021

3 Alberto Caputo. Il Lupo ed Apollo, la brama e la luce. Psicologia Alchemica.

Giove trasforma Licaone in un lupo, incisione di Hendrick Goltzius, 1589.

Se nel periodo Classico il lupo quindi non sembra rappresentare un pericolo per l’uomo ma piuttosto un’entità legata, sia nel bene che nel male, al mondo sovrannaturale, a partire dal VI secolo e con l’inizio del Medioevo le cose cambiano radicalmente e il lupo inizia ad essere considerato un animale pericoloso e nemico dell’uomo.

Eppure se facessimo un ulteriore salto all’indietro di circa 15.000 anni4 o forse più5, scopriremmo che le relazioni tra noi e i lupi a quel tempo erano ben diverse. Infatti evidenze scientifiche ci hanno permesso di capire che il cane, oggi considerato il miglior amico dell’uomo, non è altro che il frutto dell’addomesticazione del lupo. Una lunga storia di mutualismo e coevoluzione che ha portato oggi alla presenza di oltre quattrocento razze di cani, anche molto diverse l’una dall’altra, eppure tutte ascrivibili alla specie Canis lupus.

Come gli uomini i lupi sono animali sociali e di natura gregaria, organizzati in famiglie, in grado di utilizzare modalità di comunicazione complesse e capaci di adeguare il comportamento e le loro abitudini in base al variare delle circostanze (il che rende difficile o non corretto comparare i comportamenti attuati in precedenti epoche storiche con quelli odierni).

4 Si veda ad esempio Savolainen et al., 2002.

5 Recenti studi tendono a retrodatare il periodo di domesticazione del lupo a circa 30.000 anni fa (si veda ad esempio Skoglund et al., 2015).

Uomini e lupi, un percorso parallelo. (Foto di Ivan Mazzon)

Sebbene in epoca contemporanea i casi documentati di aggressione all’uomo siano pressoché nulli (post 71), un tempo tali preoccupazioni sono sfociate in una vera e propria persecuzione che ha portato allo sterminio capillare del lupo (Tracce nella storia). Come già accennato ciò si manifesta in Europa durante tutto il periodo Medioevale, e lo si apprende esclusivamente attraverso le notizie degli abbattimenti, le uniche che possono dare anche un’indicazione di quella che potrebbe essere stata la popolazione lupina dell’epoca. Tuttavia il quadro complessivo rimane molto frammentato, spesso a causa di fonti non del tutto verificabili o riferibili solo ad alcune aree. È plausibile pensare che un aumento delle superfici boschive e della fauna selvatica abbia contribuito all’aumento dei lupi di allora e che le popolazioni lupine altomedievali fossero ben più numerose di quelle odierne.

Le autorità pubbliche iniziarono a promuovere gli abbattimenti soprattutto influenzate da una forte matrice ideologica nel voler sopraffare le forze della natura e del demoniaco, e così orsi e lupi finiscono per essere i principali nemici. Gli abbattimenti nei confronti dei lupi diventano assai massicci nel basso medioevo confermando così come in quell’epoca fosse presente in Europa una popolazione assai numerosa, sia in termini di vastità dell’areale occupato che di densità.

Ma è solo in epoca Moderna che si inizia ad avere un’idea ben più precisa della demografia storica lupina in Europa e in Italia. Dal recente lavoro di Canetti et al., 2021 sono deducibili alcuni numeri interessanti: più di 5.000 esemplari catturati in Sassonia tra il 1611 e il 1665, altrettanti in Francia soltanto nel 1797 in seguito ad una legge del 1791 che ne incoraggia lo sterminio; 321 abbattimenti nel solo territorio di Pisa fra il 1637 e il 1640 e quasi 800 uccisioni in Piemonte documentate fino alla prima metà del XIX Secolo.

Il lupo era un tempo considerato animale nocivo e oggetto di persecuzione da parte dell’uomo.

Se pensiamo che in Italia secondo il primo monitoraggio nazionale sul lupo svolto tra il 2018 e il 2022 (La Morgia et al., 2022), è emersa una stima di popolazione a scala nazionale di circa 3.300 individui, è chiaro che la popolazione di un tempo era assai più numerosa di quella odierna e di conseguenza lo erano anche i conflitti con l’uomo.

L’intensificarsi delle relazioni conflittuali tra uomo e lupo, avvenute soprattutto in epoca moderna, sono riconducibili a fattori di modificazione dell’habitat naturale conseguenti alla massiccia deforestazione che ha causato la rarefazione della fauna e quindi delle prede naturali del lupo che a sua volta ha rivolto maggior interesse verso il bestiame domestico, facilitato dal repentino sviluppo dell’allevamento ovino in particolar modo del modello transumante.

Un fattore chiave che ha alimentato la paura del lupo è stata la diffusione della rabbia silvestre. Questa malattia mortale, trasmessa principalmente dalle volpi ma contagiosa anche per lupi e uomini, provocava negli animali infetti un comportamento aggressivo e irregolare. Nelle cronache europee dell’epoca si trovano numerosi resoconti di lupi “indemoniati” che attaccavano furiosamente persone in pieno giorno e persino all’interno dei centri abitati. Le vittime di questi morsi morivano poco dopo, spesso manifestando gli stessi sintomi psicotici dei lupi che li avevano aggrediti. In un contesto privo di conoscenze medico-scientifiche, era facile associare questi episodi di aggressività incontrollata alla natura stessa del lupo, alimentando la sua reputazione di creatura feroce e pericolosa.

Testimonianza di un’epoca non lontana in cui la montagna bellunese era attivamente utilizzata per il pascolo e l’agricoltura. Oggi il bosco ha rioccupato questi spazi. (Foto di Bruno Boz)

Altre pratiche umane hanno sollecitato le abitudini culturali dei lupi aumentando così la pericolosità nei confronti dell’uomo, come la distribuzione di fonti alimentari o cadaveri umani lasciati in occasione delle battaglie, l’ibridazione con i cani già allora molto diffusi e gli abbattimenti stessi dei lupi che scomponevano la struttura dei branchi, aumentando la mobilità degli individui e favorendo l’aggressività di alcuni. Tuttavia gli abbattimenti continuarono con tale intensità da procurare un drastico calo della popolazione, al punto che il numero degli abbattimenti registrati calava di anno in anno.

Un accanimento continuato anche in epoca contemporanea con risultati nefasti per la specie. Già dopo la metà XIX secolo il lupo era già stato cacciato quasi completamente dall’arco alpino e le notizie di lupi uccisi sulle Alpi terminarono nella prima metà del 1900, mentre le pratiche di eradicazione continuavano senza interruzioni lungo tutto lo stivale. A metà del Novecento una delle due sottospecie italiane di lupo (Canis lupus cristaldii), vissuta in Sicilia, viene definitivamente estinta mentre l’altra (Canis lupus italicus) era ridotta agli inizi degli anni ’70 a un centinaio di esemplari. Un danno enorme ad una delle specie più emblematiche del nostro patrimonio culturale e faunistico.

Ma è proprio in quegli anni che dopo secoli di persecuzioni accade qualcosa che cambierà radicalmente le sorti di questa vicenda e ancora una volta il destino del lupo sembra virare a seguito di un cambiamento di tipo culturale. Già dal 1970 il Parco Nazionale d’Abruzzo aveva avviato l’Operazione San Francesco, ripresa e promossa un anno dopo dal WWF e che nel 1973 prende definitivamente forza. Si trattava di una campagna vivace di sensibilizzazione, questa volta a favore del grande predatore, che capovolgeva la narrazione negativa privilegiando tuttavia una visione “idilliaca” del lupo.

Con il recente ritorno della specie nelle Alpi nordorientali, la forza evocativa e simbolica di questo animale è tornata ad essere protagonista nelle campagne di promozione del territorio e di eventi. (Foto di Bruno Boz)

Insomma un’inversione di marcia decisiva (anche a livello normativo (post 74), con l’adozione delle norme di protezione della specie) ma che tuttavia mantiene un registro assolutamente vincolato agli aspetti emotivi e privo di un’analisi obbiettiva del rapporto tra uomo e lupo. Il lupo diventa un mito positivo e un simbolo di natura selvaggia, protagonista di mostre, articoli e libri, uno strumento ideale, suo malgrado, per veicolare un messaggio del tutto ideologico, censurando ogni riferimento alla letteratura precedente e ridicolizzando ogni allusione, anche solo potenziale, alla pericolosità del lupo. Tutti elementi questi che hanno contribuito a polarizzare l’opinione pubblica e a caratterizzare tutta la comunicazione sul lupo nei decenni a seguire.

Mentre in quegli anni venivano fatte conferenze, proiezioni e manifestazioni in difesa del lupo, esso recuperava tenacemente gli ambienti perduti risalendo verso nord lungo gli Appennini, raggiungendo le Alpi Marittime nel 1987 e valicando la frontiera con la Francia. Una riconquista degli antichi territori per naturale dispersione (post 37), favorita da una grande adattabilità, che si è rivelata un enorme successo, forse anche inaspettato nei tempi in cui è avvenuta, e che ha visto il lupo ritornare, a partire dagli anni ’90, anche in tutto l’arco alpino, da ovest ad est (L’inizio di un ritorno).

Una ricomparsa facilitata anche da fattori ambientali come il graduale abbandono della montagna da parte dell’uomo con conseguente aumento della superficie forestale che a sua volta ha favorito l’accrescimento delle popolazioni di ungulati selvatici, le prede predilette del lupo. E mentre si proseguiva a senso unico cavalcando la corrente e portando avanti la propaganda del lupo buono, venivano ignorati i reali problemi di convivenza con il mondo rurale aumentando il conflitto con una buona fetta di portatori di interesse.

Soprammobili a tema lupo. (Foto di Ivan Mazzon)

In un contesto di conflittualità con le attività di allevamento, ha trovato così terreno fertile una comunicazione tesa ad enfatizzare gli aspetti problematici del ritorno del lupo. Soprattutto nell’ultimo quindicennio gli articoli di giornale che danno un’immagine negativa del lupo, spesso infarciti di esagerazioni, fanno registrare un’impennata rispetto agli articoli neutrali che trattano studi scientifici e quelli pro-lupo (Palumbo, 2021). La stampa locale e nazionale, i blog e persino le trasmissioni televisive diffondono false notizie riguardo a reintroduzioni di esemplari e interpretazioni fantasiose sul tema dell’ibridazione. Una spregiudicata distanza dal sapere scientifico e dalla realtà oggettiva rivolta a soddisfare le logiche di mercato.

Articoli allarmistici, tesi a suscitare paure circa l’incolumità delle persone con tanto di titoli di indiscutibile impatto mediatico si susseguono: “Dove passa il lupo rimane il sangue” (Radio più, 13 Dicembre 2022) oppure “Ciclista: «Due lupi mi hanno inseguito»” (Corriere delle Alpi, 31 Maggio 2018, notizia poi smentita nei giorni successivi con meno enfasi, in seguito all’accertamento che non si trattava di due lupi ma di cani mal custoditi). Sono solo due esempi locali, per rimanere nell’area di progetto, di un fenomeno assai diffuso a livello nazionale e che utilizza la disinformazione sul lupo come mezzo per generare incertezza, distorsione e confusione da utilizzare poi come strumento di propaganda politica e creare consenso attorno a ipotetiche soluzioni al problema.

Da notare come su questo aspetto giochi un ruolo significativo l’elemento della “novità”: si riscontra infatti un atteggiamento diverso (da parte sia degli allevatori che della stampa locale) nelle zone in cui il lupo non è mai scomparso (Appennini) rispetto a quelle in cui è ritornato dopo un secolo (Alpi) e dove quindi si era persa l’abitudine alla convivenza.

Un giovane lupo nei boschi del bellunese. (Foto di Ivan Mazzon)

Questo breve e parziale excursus storico evidenzia come il tema della conservazione di questa specie non possa prescindere dal considerare elementi di natura culturale, comunicativa e percettiva, non limitandosi quindi agli aspetti strettamente biologici, zoologici ed etologici. Per questo i progetti di conservazione si focalizzano anche su attività di natura comunicativa, che tendono a ricollocare il lupo nella sfera ecosistemica, sottolineando come questa specie (come tutti gli altri animali), non sia né buona né cattiva, ma semplicemente occupi un suo posto (fondamentale) nella rete di connessioni tra specie che è alla base del funzionamento e dell’equilibrio di tutti gli ecosistemi.

Questa operazione “comunicativa” chiaramente non è sufficiente se non si limitano/gestiscono anche i conflitti ed i problemi tangibili generati dalla presenza del lupo, mettendo in campo le moderne tecnologie e conoscenze per monitorare il comportamento di questo animale e attivare tutte le possibili misure per prevenire gli attacchi ai domestici (post 59), e per evitare i comportamenti scorretti che possono generare confidenza con l’uomo (abbandono di rifiuti, alimentazione artificiale, etc.).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Canetti, L., Cilli, E., & Montanari, A. A. (Eds.). (2021). Uomini e lupi: genetica, antropologia e storia. Bononia University Press.

La Morgia V. , Marucco F. , Aragno P., Salvatori V., Gervasi V., De Angelis D., Fabbri E., Caniglia R., Velli E., Avanzinelli E., Boiani M.V., Genovesi P., 2022. Stima della distribuzione e consistenza del lupo a scala nazionale 2020/2021. Relazione tecnica realizzata nell’ambito della convenzione ISPRA-Ministero della Transizione Ecologica “Attività di monitoraggio nazionale nell’ambito del Piano di Azione del lupo”.

Palumbo Davide – MILLENNIAL WOLF – IL LUPO IN ITALIA NEL XXI SECOLO Realtà, percezione e scenari possibili tra nuove paure, cattiva stampa, politica e scienza. In Canetti L., Cilli E., Montanari A. (2021) Uomini e lupi. Genetica, antropologia e storia, Bologna. Pag. 15-21

Pierotti, R., & Fogg, B. R. (2017). The first domestication: how wolves and humans coevolved. Yale University Press.

Rao, R. (2018). Il tempo dei lupi: storia e luoghi di un animale favoloso. Utet.

Skoglund, P., Ersmark, E., Palkopoulou, E., & Dalén, L. (2015). Ancient wolf genome reveals an early divergence of domestic dog ancestors and admixture into high-latitude breeds. Current Biology, 25(11), 1515-1519.

SITOGRAFIA