TRACCE NELLA STORIA
La presenza storica del lupo nel bellunese
Di Elisabetta Feltrin1 e Ivan Mazzon
1 Antropologa ed operatrice didattica presso il Museo Etnografico di Serravella e autrice del libro “Perduti Sentieri – Immaginario, saperi ecologici e pratiche locali in una valle prealpina, la Val di Canzoi”
Sei tornato… ora tutti lo sanno. Ti sei rifatto la tana tra i boschi delle Dolomiti Bellunesi, qualcuno ti ha visto, altri hanno udito la tua voce ancestrale, qualcun altro sta seguendo le tue tracce ed è riuscito ad immortalarti; non ti sei solo fermato di passaggio stavolta, hai deciso di tornare per restare, qui tra queste vallate bellunesi dove i tuoi antenati un tempo disturbavano le notti dei pastori; hai deciso di ritornare e di mettere su famiglia proprio qui, in una vallata meravigliosa ormai abbandonata e dimenticata dagli uomini, da tempo migrati nei centri urbani a fondo valle. Non rischi più di incontrarli mentre risalgono sentieri faticosi per sfalciare quelli che un tempo erano prati, nei ripidi pendii e pericolose sporgenze di queste montagne; non si vedono più carbonai abitare tra questi boschi, rari oramai pure i boscaioli…gli alberi si sono ripresi tutte le vallate delle Alpi e Prealpi feltrine e bellunesi.
Tu hai aspettato con pazienza e, quando l’ultimo uomo se ne va, un primo lupo ritorna…
C’è chi afferma che il tuo in realtà non sia un ritorno spontaneo, ma opera di reintroduzioni volontarie: “i lupi non fanno parte della fauna autoctona, originaria di questo territorio!” Che cosa intendono per originaria? A che epoca si riferiscono? Che storia conoscono? I miti da sfatare sono diversi, così come anche le fake news che periodicamente prendono piede nel web alimentate da utenti poco attenti a verificare le fonti, ma più interessati a condivisioni sconsiderate. In realtà non c’è da stupirsi: quando parliamo del rapporto uomo-lupo, fatti reali e credenze irrazionali si mischiano da sempre, e scopriamo così che, ancora oggi, alcuni miti sopravvivono nell’immaginario popolare, condizionando ancora pesantemente la nostra percezione. Numerosissime sono le storie, le leggende e le favole in cui tu lupo sei principale protagonista, emblema della voracità e della forza, talvolta simbolo del male, figura dai misteriosi aspetti psicanalitici…
Tu eri presente in gran parte del continente europeo così come nell’arco alpino e nel bellunese fino a pochi secoli fa, quando boschi e foreste ricoprivano l’Europa quasi come oggi… ne è rimasta memoria all’interno di antichi testi e documenti di varia natura, celati negli archivi di biblioteche e musei.
Girando per i boschi del bellunese non è raro imbattersi in ruderi di casere o maiolere, ormai inghiottiti dall’avanzata della vegetazione e testimoni di un tempo in cui l’uomo occupava e gestiva la montagna. (Foto di Bruno Boz)
Vogliamo quindi provare a metterci sulle tue tracce nella storia, facendo un salto all’indietro nel tempo, partendo proprio dal periodo alto medievale, ovvero all’alba della nostra civiltà europea, momento in cui si sono verificate le maggiori trasformazioni nell’ecosistema e di conseguenza anche del rapporto tra uomo e ambiente. Tra queste, il calo demografico seguito alle invasioni/migrazioni di popoli, l’abbandono delle città e delle strade, l’aumento di foreste e paludi con un incremento considerevole della fauna selvatica europea e quindi del lupo.
Con il Basso Medioevo e la ripresa economica si intensifica l’utilizzo delle foreste, aumentano l’agricoltura e l’allevamento ed iniziano le persecuzioni verso questo animale, alimentate da paure e conflitti con il bestiame domestico. L’uomo sfrutta l’ambiente, privando delle risorse vitali il lupo che si avvicina così sempre di più ai paesi e alle case; agli inizi del 1300 vi sono testimonianze di abbondante presenza del lupo anche nel Trevigiano dove si riporta il numero di 107 pelli di lupi abbattuti tra gli anni 1315 e 1318 (TORMEN et al., 2003).
L’eliminazione di questi animali veniva sentita come assolutamente necessaria per garantire l’incolumità degli abitanti delle zone montane: nel 1599 da gennaio a marzo in Cadore si registra l’uccisione di quattro lupe ed un lupo (SACCO, 2007). Trappole, fosse e tagliole erano mezzi diffusi nella lotta al lupo tra ‘500 e ‘700.
La caccia diretta costituiva però il metodo più convenzionale di persecuzione delle “belve”, spesso incentivata tramite il sistema delle taglie, aperta tutto l’anno e lasciata all’iniziativa dei singoli. Negli Statuti di alcuni comuni troviamo dei capitoli riguardanti i premi per l’abbattimento. Ad esempio la Magnifica Comunità di Cadore, a fine Cinquecento, ricompensava con una lira chi uccideva un lupo, con due una lupa (SACCO, 2007).
In “Historia di Giorgio Piloni Dottor Bellunese”, scritta dallo stesso Piloni nel 1607, vengono riportati alcuni aneddoti che ci fanno capire che il lupo era ben presente nel Bellunese “…sendo il Teritorio a questo tempo sopra modo danneggiato da fiere selvatiche e lupi arrabiati per le qual cose stava ognuno in gran timore” e ancora il racconto di come un certo Lorenzo, padre di Pieiro Valeriano, riesca a scacciare tre lupi “Fu egli figliuolo di Lorenzo, si come attesta egli nel libro undecimo degli Ieroglifici, dove parlando del Lupo, riferisse, che Lorenzo suo padre venendo verso Cividale, sendo dalla notte sopragiunto cinque miglia fuor della città, fu da tre Lupi assalito, ne sapendo come difendersi da loro, smontò da Cavallo, e presa la briglia di quello, cominciò a tirarla per la terra: dal qual strepito li lupi impauriti, da lui si partirono” (PILONI, 1607).
Tra la prima metà del XVII secolo e per tutto il XVIII i lupi nel bellunese sono ancora molto numerosi e vengono segnalate uccisioni tra Cadore, Comelico e Ampezzano con ricompense in denaro. Si segnalano lupi vicini ai paesi nel Cadorino, una predazione ai danni di muli a Candaten e poi verso la fine del 1700 si inizia a parlare di ultimi lupi uccisi a Vigo di Cadore (TORMEN et al., 2003).
Fino ad allora la popolazione di lupi appariva stabile e vitale in tutta la provincia, ma dal XIX secolo il lupo inizia a sparire gradualmente dal territorio…forse a causa della continua persecuzione da parte dell’uomo, ma anche a causa della progressiva riduzione del suo habitat. Ritorna la questione del rapporto uomo-ambiente davanti alla trasformazione del territorio europeo, che vede appunto l’aumento demografico della popolazione e l’intensificarsi dell’antropizzazione a discapito dei boschi e dell’incolto.
Testimonianze di Cristina Busatta, Direttrice del Museo Etnografico di Serravella, in merito alla presenza storica del lupo nel bellunese e alle pratiche utilizzate per il controllo dei “selvatici”. (Video di Bruno Boz e Ivan Mazzon)
Nei primi decenni del 1800 si ritrovano ancora segnalazioni di uccisioni nel Cadorino e si registra la presenza di lupi e orsi nelle foreste di Cansiglio e Alpago dove, nel 1817, una leggenda narra di una sfortunata bambina di Spert sbranata dai lupi. Nello stesso anno, scrive Giuseppe Tormen, in Agordino, nei pressi di Gosaldo, a causa di un’annata di grande carestia e continue piogge i lupi si spinsero fino a circondare l’abitato (TORMEN et al., 2003).
Tommaso Antonio Catullo, nato a Belluno nel 1782, fu un noto professore di storia naturale, chimica, mineralogia, geologia e zoologia. Fra le sue molteplici pubblicazioni si possono scovare alcuni aneddoti riguardati la presenza del lupo nella prima metà del 1800. In “Saggio di zoologia fossile, ovvero osservazioni di sopra li petrefatti delle provincie austro-venete” Catullo, mentre parla dell’altopiano del Cansiglio, si lascia andare con un’affermazione alquanto curiosa ovvero: “…veggonvisi talvolta delle spaccature, e degli antri dentro cui vivono nascosti gli orsi (Ursus arctos) ed altri nocivi animali ( 18)” e per nocivi animali fa riferimento ad una nota che lui stesso riporta alla fine della pubblicazione e dice: “( 18) Questi antri o covaccioli sono temuti dalle stesse persone del luogo, che ricusano di affacciarvisi, quando non si permetta loro di prendere l’arme. Mi è occorso di vedere più volte in Belluno degli orsi e dei lupi uccisi dagli abitanti dell’Alpago, i quali seco recarono la preda per riportarne il premio dalle Autorità del paese” (CATULLO, 1827).
Lo stesso Catullo una decina di anni dopo in una pubblicazione da titolo “Catalogo ragionato degli animali vertebrati che si veggono permanenti o soltanto di passaggio nella provincia di Belluno” torna a parlare di lupi e lo fa in questo modo: “Canis lupus. Lin. Lovo – Questa fiera voracissima vive a preferenza ne’ monti più prossimi a Belluno, che nelle alpi dietro poste; la si prende però una qualche volta nel Zoldiano, ma si vede assai di rado nel Cadore, e nel Agordino. Negli anni 1812 – 1813 si sono presi nel Tirolo, ed anche nel Cadorino, individui di questa specie macchiati di nero, e di bianco, i quali più non si videro dopo cessate le guerre con la Russia” (CATULLO, 1838).
Un estratto di mappa degli anni 1818-1829 che mostra parte della pedemontana bellunese e le Dolomiti a nord di Belluno, dimora dei lupi di allora. (Fonte www.mapire.eu)
Anche il famoso Maresio Bazzolle nel suo Possidente Bellunese” (BAZZOLLE, 1868-1890 in PERCO, 1987) racconta: “Dai registri di mia nonna Sergnano conosco che ai primi di questo secolo, – vi è indicato anche il giorno – il lupo rapì un agnello nel cortile d’una sua casa colonica a Fiamoi; e che altra visita di lupo vi avvenne in un anno posteriore. Il mio colono G.M. Fistarol, ora d’anni 72, e già abitante a Safforze assicura d’averne sentito e visto più volte. Si ritiene che un lupo sia comparso in questi contorni anche da circa 40 anni. Ora poi non se ne hanno più traccie. I lupi avevano le loro tane e dimore nei monti a settentrione di Belluno, e di là calavano nelle colline e campagne sottostanti. E’ perciò che l’Oltrardo era uno dei territorj più funestato da essi; ed è perciò che appunto sopra Fiamoi e sopra Safforze erano state praticate parecchie buche dette lovère apprestate a che i lupi vi cadessero entro e vi restassero presi”.
Dopo la metà del XIX secolo la popolazione di lupi in provincia poteva considerarsi estinta. Testimonianze di uccisioni si hanno ancora, seppur poche, fino agli anni ’30 del secolo scorso e riconducibili tutte ad esemplari erratici provenienti dalle zone montuose limitrofe. Fra queste però si ricorda la storia di Mina Antonio detto Tunin che nel 1929, precisamente il 24 maggio, in una baita in località Campobon (dial. Campugon) di Comelico Superiore, uccise l’ultimo lupo in provincia di Belluno di cui si ha testimonianza fotografica. La vicenda, ricostruita da Piergiorgio Cesco-Frare e Italo Mina (CESCO FRARE, 2000), attraverso la testimonianza della figlia dello stesso Tunin, Angela, e della sua compaesana e custode di memorie del luogo, Giovanna Festini Cucco (entrambe decedute nel 1999), narra di come Tunin in quel giorno di maggio fosse salito in quella baita a 1900 metri di quota per sorvegliare un gregge di pecore che in precedenza era stato attaccato. Alle ore 21, udendo gli animali spaventati, si precipitò all’esterno e intravedendo nella penombra una figura bianca dibattersi a terra sparò una serie di colpi di fucile. Immediatamente quella figura bianca che si dibatteva, che non era altro che una pecora, saltò su all’improvviso e si precipitò verso la baita. Tunin corse dalla pecora e ben presto si accorse della vistosa ferita che portava al collo, qualcosa l’aveva morsa. Tunin portò all’interno della baita l’animale, lavò e disinfettò la ferita come meglio poteva, e non uscì più fino a mattina. Trascorse la notte insonne, la sua mente era pervasa dal pensiero che quella bestia potesse aggirarsi ancora la fuori. Il pastore, un pecoraio di Farés degli Alfarè da Candide, era precipitosamente sceso in paese a chiedere aiuto qualche giorno prima, raccontando di 13 pecore uccise e altre che riportavano i segni delle zanne sul collo.
«Il Sig. Mina Antonio fu Giovanni Con faticha e coraggiosa arditezza la sera del 24 Maggio 1929 e precisamente alle ore 21 nella Loccalità Campu Gon riusci da solo à colpire a Morte un furioso Lupo che ivi spargeva il terrore in un gregge di Peccore sparse in quei dintorni, Nel momento stesso riusci a salvare una peccora che L’animale Ferroce e furioso aveva azzannato». Nota manoscritta dallo stesso Tunin e apposta come didascalia di un quadretto contente le fotografie dell’avvenimento (CESCO FRARE, 2000).
Arrivò l’alba, Tunin prese la doppietta carica e uscì. Si diresse con circospezione verso il luogo dello sparo e mentre si avvicinava lo vide, era li il salvatcu… “Allora Tunìn spianò l’arma e ricominciò ad avanzare lentissimamente. A mano a mano che si avvicinava, ne ravvisava l’aspetto spaventoso, le fauci spalancate, le zanne scoperte, la lingua penzoloni, i crudeli occhi come due fessure. Eppure non si muoveva. Tunìn si chiedeva se fosse morto per davvero. Ad ogni buon conto prese la mira e lasciò partire un colpo. Il salvatcu non si mosse ancora. Si avvicinò, lo toccò una, due volte colla canna del fucile: era proprio morto.”
Osservando l’aspetto di quel misterioso animale, Tunin iniziò a chiedersi che razza di bestia era mai quella, assomigliante ad un grosso cane ma con caratteristiche ben diverse come zampe, pelo, zanne e quello sguardo di una simile ferocia che Tunin non aveva mai visto in nessun cane. Non poteva che essere un lupo pensò! Ma da esperto cacciatore qual era, sapeva che i lupi erano estinti da tempo immemore e nemmeno i vecchi cacciatori che lui conosceva avevano memoria di aver mai visto un lou.
Mentre ancora stava ripercorrendo i fatti avvenuti la sera prima avvertì all’esterno della baita il sopraggiungere di qualcuno; era Luminiéra alias Osvaldo De Lorenzo di Candide e Màscual alias Riccardo Bergamasco forestiero di non precisata provenienza. I due non avevano voluto salire la sera prima ma sarebbero arrivati al mattino. Così Tunin senza farne troppo mistero mostrò ai due la bestia che giaceva inerme sul pavimento della baita e raccontò ai due compari increduli, meravigliati e anche un po’ invidiosi, come si era svolta la vicenda. Al termine, con il sole già alto nel cielo, legarono il salvatcu per le zampe e lo appesero ad un grosso ramo di abete che Màscual e Luminiéra si caricarono sulle spalle e portarono in paese […].
“Sbuca pure un fotografo professionista (un di Talés) che riesce a fissare sulla lastra le immagini fresche fresche dei tre in tenuta da combattimento e della belva. Il giorno dopo è domenica ed il rituale fotografico si ripete, stavolta in abiti da festa”. Luminiéra (a sinistra) e Tunìn (sulla destra) posano con il lupo in abiti da festa di fronte alla fotocamera di un non meglio precisato fotografo professionista. Dettaglio della foto esposta al Museo Etnografico di Serravella. Citazione tratta da CESCO FRARE, 2000.
Ripercorrendo questa storia possiamo comprendere come secoli e secoli di convivenza possano aver lasciato ampie tracce nel patrimonio di queste comunità. Il ricordo del “lupo storico” ormai è impossibile da ritrovare, tuttavia l’antico antagonismo tra uomo e lupo rivive così nei nomi locali dei luoghi, negli oggetti e nei racconti, come ben spiega Ortalli in “Realtà e immagine del lupo nel Medio Evo: la nascita di un mito” (ORTALLI, 1972). I toponimi, ovvero le denominazioni assegnate da una comunità a luoghi e siti geografici, sono un mezzo per rappresentare il territorio, e la loro origine è generalmente in relazione con le caratteristiche geografiche, ambientali, storiche, paesaggistiche, ecc. del luogo a cui la denominazione si riferisce. In tutta Europa, la convivenza con il lupo era così stretta ed emotivamente sentita da originare tantissimi toponimi che, nelle differenti versioni linguistiche e dialettali, evocano chiaramente il rapporto tra le popolazioni e l’animale; scrive Tormen in Presenza storica e toponimi sul lupo Canis lupus Linnaeus (TORMEN et al., 2003) che Il Lupo era definito in vari modi nei dialetti della provincia di Belluno: Lovo (Lova femmina), Lof, Louf, Lou, Loo (Loa femmina), Lovatel, Lu.
Circa due generazioni di persone non hanno mai potuto osservare l’impronta di un lupo impressa nella soffice neve caduta nel sottobosco di una vallata bellunese. Oggi il lupo è tornato e la sua presenza, per quanto schiva, dona ai nostri boschi un fascino diverso, riportandoci indietro nel tempo. (Foto di Roberto Sacchet)
La storia di persecuzione e di estinzione del lupo nel Bellunese, è comune a gran parte delle aree occupate da questo animale nel mondo. Per secoli il lupo è stato cacciato ovunque con ogni mezzo a disposizione finché, agli inizi degli anni ’70, la popolazione di lupi in Italia si era ridotta a poche centinaia di individui distribuiti nell’Appennino centrale. Negli anni seguenti, grazie ai primi studi pionieristici, si è presa maggior coscienza dell’importanza di questa specie, del rischio concreto di estinzione e del danno ecologico provocato: vengono così sancite diverse leggi per la protezione del lupo, sia a livello nazionale che comunitario, le quali hanno favorito una significativa ripresa della specie, che in quasi 50 anni ha riconquistato gran parte degli ambienti sia appenninici che alpini dove un tempo era presente.
Ma questa è un’altra storia…..
BAZZOLLE A.M. in PERCO D. ,1987. Il Possidente Bellunese II. Tip. Beato Bernardino. Feltre: 228.
CATULLO T. A., 1827. Saggio di zoologia fossile, ovvero osservazioni sopra li petrefatti delle provincie austro-venete. Tipografia del Seminario. Padova.
CATULLO T. A., 1838. Catalogo ragionato degli animali vertebrati che si veggono permanenti o soltanto di passaggio nella provincia di Belluno. Tip. Tissi Belluno: 9.
CESCO FRARE P., 2000. Tunin e il Lupo . Le Dolomiti Bellunesi Natale 2000. Ed. CAI Belluno: 30-34.
LASEN C., 2007. Paesaggi feltrini. Identità ed evoluzione, in Rivista Feltrina “El Campanon”, N. 20, Anno XL , Dicembre 2007.
ORTALLI G., 1972. Realtà e immagine del lupo nel Medio Evo: la nascita di un mito, «Natura e montagna », 12
PILONI G., 1607. Historia di Georgio Piloni dottor Bellunese. Rampazetto. Venezia.
SACCO A., 2007. La vita in Cadore. Aspetti del dominio veneto nelle lettere di capitani e vicari 1500-1788. Cierre Edizioni.
TORMEN G., CATELLO M., CESCO FRARE P., 2003. Presenza storica e toponimi sul lupo Canis lupus Linnaeus. 1758 in provincia di Belluno. Natura Vicentina n.7