Lungo il sentiero #29

Foto di Bruno Boz
Lungo il sentiero #29

Negli ultimi anni la ricerca faunistica è stata profondamente influenzata dall’uso crescente delle fototrappole: piccoli apparecchi fotografici impermeabili dotati di sensori di movimento e temperatura, che vengono posizionati nelle zone frequentate dagli animali e, attivandosi automaticamente al loro passaggio, registrano foto e video, sia di giorno che di notte.

L’idea di utilizzare macchine fotografiche ad azionamento automatico per fotografare animali in natura risale alla fine del 1800 quando George Shiras III, avvocato e appassionato naturalista statunitense, sviluppò questa tecnica con i mezzi allora disponibili, la descrisse in alcuni articoli apparsi sul National Geographic Magazine tra il 1906 e il 1921 e pubblicò, nel 1935, un’opera in due volumi intitolata Hunting Wild Life with Camera and Flashlight.

Il primo ad utilizzare questa tecnica per attività di ricerca scientifica fu Frank Michler Chapman, ornitologo e conservatore del Museo Americano di Storia Naturale di New York, che utilizzò il fototrappolaggio tra il 1920 e il 1935 per studiare la fauna delle foreste tropicali dell’isola Barro Colorado, nella zona del canale di Panama, catturando splendide immagini di ocelot, coati, pecari, tapiri e molte altre specie.

Il fototrappolaggio venne “dimenticato” per mezzo secolo fino a quando, negli anni ’80 del secolo scorso, vari ricercatori in diverse parti del mondo ripresero ad utilizzarlo.

In tempi più vicini a noi lo sviluppo tecnologico e l’avvento della fotografia digitale hanno permesso di ottenere apparecchi sempre più piccoli e dai costi contenuti, determinando un incremento esponenziale nell’utilizzo di tale tecnica.

Il fototrappolaggio è un metodo di indagine che (se correttamente impiegato) minimizza il disturbo della fauna selvatica (post 3), permette di ottenere informazioni su specie elusive e restituisce un’enorme mole di dati, la cui raccolta diretta richiederebbe lunghi, faticosi e costosi appostamenti in zone spesso remote o impervie.

Il Sentiero dei lupi fa ampio ricorso a questa tecnica, che richiede un’ottima conoscenza del comportamento e della biologia della specie oggetto di studio, indispensabile per posizionare le fototrappole nei punti più adatti a cogliere il passaggio degli animali.

Le strategie di posizionamento delle fototrappole cambiano in funzione della specie studiata e seguono precisi protocolli che garantiscono una raccolta standardizzata dei dati, ma gli apparecchi raccolgono comunque immagini di tutti gli animali che transitano davanti all’obiettivo; per questo c’è un costante scambio di dati e informazioni tra gli operatori impegnati nei vari progetti di fototrappolaggio che si svolgono contemporaneamente nel Parco. Oltre al gruppo di lavoro de Il Sentiero dei lupi, anche il personale del Reparto Carabinieri Parco posa fototrappole per il monitoraggio faunistico, mentre la dottoressa Arianna Spada, dell’Università di Venezia, sta conducendo uno studio sui mustelidi e il gatto selvatico.

La posa delle fototrappole è solo la prima parte del lavoro; la seconda è lo studio e l’analisi a tavolino dell’enorme numero di fotogrammi e video registrati nelle schede di memoria.

Nel biennio 2018-2019 il team de Il Sentiero dei lupi ha utilizzato 35 fototrappole; mentre la dottoressa Spada e i Carabinieri Forestali hanno installato una settantina di fototrappole.

Complessivamente sono state raccolte, in un biennio, quasi 300.000 immagini, tra queste solo poco più di 200 ritraggono i lupi del primo branco del Parco.

Testo di Enrico Vettorazzo – PNDB