Lungo il sentiero #63

Foto di Bruno Boz
Lungo il sentiero #63

Il camoscio può essere considerato uno degli animali simbolo del Parco; diffuso in tutta l’area protetta è censito con regolarità dal 1995 in tre aree campione, una delle quali è centrata sull’altopiano di Erera-Brendol ed è inclusa nel territorio oggi occupato dal branco di lupi. Dagli anni novanta del secolo scorso fino al 2016 la consistenza della popolazione di camoscio in quest’area centrale del Parco è rimasta sostanzialmente stabile, con valori che oscillavano tra i 400 e gli oltre 500 capi censiti annualmente.

A partire dal 2017 l’arrivo di un’epidemia di rogna sarcoptica ha drasticamente ridotto il numero di camosci, che sono scesi a poche decine di esemplari, con dinamiche analoghe a quelle già osservate in altre aree delle Alpi interessate dalla malattia dove, dopo una riduzione del numero di animali che può superare il 90%, gli individui sopravvissuti (resistenti alla malattia) hanno ricostituito gradualmente la popolazione, riportandola alle consistenze iniziali.

Nel 2018, in questa stessa area del Parco, è ritornato il lupo, che ha rivolto la sua attenzione alle prede maggiormente disponibili, nutrendosi soprattutto di cervi e in misura minore di mufloni (post 31). Nell’ultimo biennio però i censimenti nell’area di Erera-Brendol registrano un’inversione di tendenza e una lenta ripresa del numero di camosci, che presumibilmente si farà via via più consistente in futuro.

Questo fenomeno di ripresa si può già osservare nella zona più orientale del Parco, dove l’epidemia di rogna sarcoptica è arrivata nel 2009, riducendo la popolazione da oltre 600 a meno di 100 capi, e dove si registra, a partire dal 2015, un costante e progressivo incremento del numero di animali, che è ritornato oltre i 400 capi. Si può quindi ipotizzare che, negli anni a venire, vi saranno più camosci a disposizione e che una parte di essi rientrerà nella dieta dei lupi, analogamente a quanto già si osserva in aree limitrofe al Parco, come sul massiccio del Grappa.

Testo di Enrico Vettorazzo – PNDB