Lungo il sentiero #67

Foto di Ivan Mazzon
Lungo il sentiero #67

Quando ci si imbatte in una carcassa, spesso la prima domanda che ci si pone è se l’animale sia stato predato dai lupi, da altri potenziali predatori (compresi i cani) o se sia morto per altre cause e in seguito consumato da altri animali. Se la ricerca di una risposta a questa domanda può essere in molti casi dettata dalla semplice curiosità, la questione diventa particolarmente rilevante nel caso di predazione di animali domestici, in quanto spesso i meccanismi risarcitori prevedono l’accertamento di questo aspetto da parte di personale specializzato.

Non sempre in realtà è possibile stabilire con certezza le cause di morte. L’affidabilità della determinazione dipende infatti dallo stato della carcassa e dal suo livello di deterioramento. In particolare l’azione di necrofagi può significativamente occultare i segni delle cause di morte. Nel caso rimangano solo le ossa, determinare la causa della morte sarà molto difficile, se non impossibile. Anche nel caso di carcasse in buono stato di conservazione, si tratta generalmente di una “diagnosi” abbastanza complessa, che richiede un’attenta analisi sia della carcassa stessa, sia dei segni presenti nel sito di predazione.

Osservando la carcassa, l’ elemento “diagnostico” che permette di stabilire con ragionevole certezza se si tratti di una predazione da lupo è la presenza di fori nel collo (zona retro-mandibolare) della preda, provocati dalla penetrazione dei canini del lupo, con presenza di coaguli di sangue, derivanti dall’emorragia provocata dal morso e osservabili in genere più facilmente nel tessuto sottocutaneo. Quando i necrofagi si cibano di animali già morti (e non uccisi da loro), sulla carcassa si trovano infatti tracce di denti, artigli o rostri, ma non sanguinamento, né contusioni.

In caso di prede di media taglia, il primo morso risulta generalmente già decisivo, per cui sulla preda si vedono spesso solo i (pochi) fori dei canini, senza ulteriori lesioni a eccezione di qualche leggero graffio. In caso di prede di taglia grande, come cervi adulti, possono esserci anche morsi ripetuti a cosce, fianchi e nella zona dello stomaco, con lesioni gravi. Si rinvengono in genere anche tracce di sangue e peli persi dalla preda durante le fasi dell’attacco e poste ad una certa distanza dal punto di ritrovamento.
Nell’area del Parco, dove, oltre al lupo, non vi è presenza stabile di altri grandi predatori, quali linci e orsi, questi elementi sono in genere sufficienti per poter attribuire la causa di morte alla predazione di lupo.

Se il contesto o il tipo di carcassa suggerisse invece la possibilità che i morsi possano essere stati inferti da altri potenziali predatori (esempio cani, volpi o sciacalli) è necessario valutare ulteriori elementi, quali la distanza fra i segni del morso (ove misurabile) per discriminare il tipo di predatore. In questo è di aiuto anche l’esame della zona di predazione: generalmente i lupi cacciano in branco quindi possono essere presenti numerose impronte e un’attenta analisi delle stesse (inclusa la lunghezza dei passi) potrebbe ridurre ulteriormente i dubbi. Nella zona potrebbero inoltre essere presenti feci, anch’esse piuttosto chiaramente distinguibili.

Un’analisi più esaustiva potrebbe richiedere anche l’esame delle parti consumate, una completa rimozione della pelle per osservare i segni di lacerazione e l’analisi della fratturazione delle ossa. Sebbene i cani abbiano denti più brevi e arrotondati che spesso non forano la pelle, pur lesionando l’area del morso, alcune razze possono uccidere un ungulato con una tecnica praticamente identica a quella del lupo. In questi casi, per capire se il predatore sia stato un cane o un lupo si deve pertanto ricorrere all’analisi genetica della saliva (post 11).

Testo di Bruno Boz e Fabio Dartora